Il Viaggiatore del Tempo e la Poesia
recensione
a Franco Melissano, I Giorni ed i Versi
Poesie, 2016
di Anna Stomeo
I Giorni ed i Versi è il titolo che Franco Melissano ha
dato alla sua ultima raccolta di poesie, un titolo che intende testimoniare di
un legame tutt’altro che scontato tra il tempo
e la poesia e che l’Autore ha scelto,
probabilmente, per sottolineare la diversa dimensione poetica di questa raccolta,
rispetto alle sue due precedenti, non solo per la preferenza della lingua
italiana, ma per una più intensa connotazione lirica che qui sembra spingerlo sino ai confini del proprio
universo conoscitivo.
I richiami semantici dei due lessemi (Giorni e Versi) sembrano, infatti, voler mettere in discussione la diacronia
stessa del discorso poetico e dell’intera raccolta: quel Versi al plurale, che segue a Giorni
e che dovrebbe indicare la poesia
(esserne sinonimo), in realtà diventa,
appunto, un indicatore di di-verse direzioni di indagine, quelle
che il poeta segue nello scorrere dei Giorni,
del Tempo, e che lo rivela a se stesso, e al lettore, in termini di
inquietudine, ma non di incoerenza.
I Giorni ed i Versi diventa così un viaggio nel tempo che
non ha nulla di nostalgico e che il poeta compie per disvelare i misteri della
poesia. Il poeta si fa viaggiatore di
un tempo mitico, fatto di eterni ritorni, nel quale la ricerca poetica si
trasforma in bisogno esistenziale, in ricerca dell’ignoto, come nella quête degli antichi cavalieri erranti.
Ogni
volta che ci ritroviamo tra le mani un libro di poesia, come questo di Franco
Melissano, ci chiediamo inevitabilmente che cosa lo abbia prodotto,
specialmente quando conosciamo l’Autore e sappiamo che svolge un’altra
attività, estremamente lontana dalla poesia o da quello che riteniamo
significhi l’essere poeti. Inevitabilmente finiamo col chiederci da dove venga
la poesia, se non sia un’illuminazione che sceglie alcuni predestinati o,
piuttosto, un divertissement che
consente un’evasione dal quotidiano, o ancora, forse, una ricerca, un esercizio
di conoscenza attraverso la parola.
Quando
poi, dopo una prima occhiata, data di sfuggita ai versi che scorrono lungo le
pagine bianche, cominciamo ad entrare nel testo e a leggerlo più
approfonditamente, allora ci accorgiamo di essere entrati in un mondo definito
e compiuto in se stesso, un mondo non casuale, ma costruito ad hoc, un mondo da accogliere, in tutto
o in parte, per come è o da rifiutare,
in tutto o in parte, per come non è. In definitiva, nel momento
in cui entriamo nel testo, cioè lo leggiamo con un livello più intenso di
attenzione e di partecipazione, ci accorgiamo che si tratta di un sistema
perfettamente ordinato al suo interno e che il nostro semplice approcciarci ad
esso, attraverso la lettura, provando emozioni o facendo riflessioni,
costituisce di per sé un esercizio critico. Come affermava Attilio Momigliano
“Leggere è scoprire la poesia: perciò la lettura è il principio della critica.”
Ma
questo esercizio critico a che serve se non a tentare di capire la natura della poesia? Molti di noi
possono pensare che la poesia, avendo a che fare con le parole, abbia anche a
che fare con la letteratura. Non sempre è cosi, perché la poesia abbraccia uno
spazio più ampio della letteratura, nasce con la musica, alla quale fin
dall’antichità si è accompagnata (per separarsene definitivamente solo con la
nascita della stampa) e coinvolge non solo la parola, ma il respiro. La poesia
nasce come nasce il respiro: senza che ce ne accorgiamo. Per questo la poesia
riguarda tutti e non solo i letterati, la poesia nasce perché il ritmo del
respiro cambia in seguito a qualcosa che ti sorprende. La poesia nasce,
letteralmente, da un’ispirazione, da
un cambio del respiro, da un trauma che ti sconvolge (un fatto, un evento,
un’immagine, uno sguardo). La poesia denomina
il mondo e le cose in modo nuovo attraverso l’esperienza poietica (pratica) del linguaggio, un lavoro, un fare sul linguaggio che spinge a
ricercare le parole adeguate per esprimere l’incanto.
La
poesia è in stretta relazione con la percezione del tempo (che contribuisce a
dilatare) e con la conoscenza (che contribuisce ad approfondire). Tempo e
conoscenza sembrano i punti di riferimento costanti del fare poesia, del poiein. Troppo
spesso ci ripetiamo che la poesia è sostanzialmente scavo, non lenimento. né tantomeno
salvezza, ma ricerca sofferta di armonia, strutturazione dell’indicibile e
dell’invisibile.
(Recita Montale: “io sono amico dell’invisibile/e non faccio conto/ che di ciò che si fa
sentire e non si mostra/ e non credo e non posso credere/ a tutto quello che si
tocca/ e che si vede”)
Questo
invisibile che affiora dai versi di
ogni poeta e ciò che consente alla poesia di superare il terreno propriamente
letterario per farsi comunicazione soggettiva, allusiva, figurata, in
definitiva arte. E in quanto arte la
poesia è passione, nel senso più ‘assoluto’ del termine, è sofferenza,
trasporto, struggimento, impulso e tormento come nell’amore. E i poeti sono
innanzitutto amanti della poesia, amano la poesia come oggetto del desiderio e
da questo amore vengono spesso travolti in un turbine di sensazioni talvolta
scomposte, incontrollabili.
Franco
Melissano, invece, non è solo amante della poesia, ma è poeta rigoroso che
rifinisce e perfeziona i propri versi, è poeta consapevole delle valenze altre della parola poetica, alla quale si
affida e alla quale affida le
proprie intime riflessioni. È poeta colto, animato da frequentazioni e suggestioni
classiche che si fanno vere e proprie citazioni, quando da un verbo o solo da
un’assonanza, riecheggiano antiche espressioni figurate (Quale colomba che ritorna al nido…Quando per sempre chiusi gli occhi al giorno…) o note figure di
suono e di significato.
La raccolta si articola in due sezioni,
apparentemente distanti per ispirazione e per soggetto.
Nella prima sezione, Canto di Sirena, compaiono venti
poesie d’amore, come recita il sottotitolo, tutte dedicate (a quanto si
evince dal susseguirsi logico e, soprattutto, dialogico dei componimenti) ad una sola e unica donna, la compagna di una vita, archetipo, poeticamente e poieticamente, di una sensualità continuamente ricercata e
puntualmente ritrovata nel tempo e negli anni, quasi come pegno di un intenso
sentimento amoroso che attraversa e
supera la dimensione del tempo. Si veda a questo proposito Gorgoglia la tua voce dove il corpo femminile si rappresenta non
solo come forma erotica, ma come suono, come voce, una voce che prolunga il
corpo fino a raggiungere l’anima, in un gioco di assonanze. La donna è, in
questa sezione della raccolta, presenza costante,
del qui ed ora, non presenza/assenza filtrata dalla memoria, come spesso
avviene in poesia. Questo appropriarsi del tempo al presente, anche del tempo amoroso, è un modo di nominare il
tempo per evitare il diradarsi del ricordo, il suo perdersi nelle nebbie della
memoria la quale è, per sua natura, inaffidabile.
Nella seconda sezione, I giorni ed i versi, che racchiude ben
sessantanove poesie, il tempo, invece,
emerge in tutta la sua irrimediabilità, come cifra dell’intera raccolta,
alimentando con il suo ritmo l’alternarsi delle immagini. Non a caso il
raccordo tra la prima e la seconda sezione è dato da una metapoesia (Amata mia poesia)
in cui la donna continua a permanere come energia seduttiva e salvifica (O quante, quante volte/con tenerezza
antica/sommessamente chiamo/e busso trepidante alla tua porta/ed impaziente
attendo/col cuore già grondante/dei dubbi dell’amante), presenza assente di una poesia che si
concede “con pietà crudele” . E ciò
perché il poeta sembra puntare tutto sul ricordo/raccordo del tempo e dei
versi, nel quale la memoria si fa garante di un rapporto autentico con la
natura (Echi di sirene) e con la
storia (Di nuovo in Palestina torna
Erode)
I titoli delle due sezioni risultano
dunque molto utili ad un’analisi testuale che tenti di spiegare i meccanismi
interni di funzionamento e forse anche le ragioni
del fare poesia di Franco Melissano. Il punto di vista del poeta, sospeso tra
l’amore e il tempo, si articola in una serie di immagini denotative e di
implicazioni connotative che svelano l’intrinseca polisemia e, quindi, l’autentica poesia, della raccolta.
Nella prima come nella seconda sezione
è possibile cogliere diversi livelli o sistemi del testo che si rapportano tra
loro fino a costituire una vera e propria rete di riferimenti interni. Così non
solo i versi di Amata mia poesia
ricompongono, come si è detto, in unità le due sezioni all’insegna di una poesia-donna metafora dell’unicità di
ispirazione, ma anche all’interno di tutta la raccolta si determinano, tra i
vari componimenti, rapporti di corrispondenza e di opposizione che nel loro
alternarsi contribuiscono alla coerenza del testo e all’organicità
dell’interpretazione da parte del lettore.
Si veda ad esempio il rapporto di
corrispondenza che si determina tra Crepuscolo
(p.46) e Le tenebre del cuore (p.61):
tra i due componimenti non c’è solo corrispondenza tematica (la tristezza che insorge nell’animo e si
fa disincanto esistenziale, l’emergere dell’oscurità nella luce), ma anche
simbolica (l’immensa rete di ragno
che allude palesemente allo spleen di
baudelairiana memoria e il buio del grembo materno foriero di luce mentre le tenebre del cuore/accecano il mattino
).
Gli intrecci e i richiami di
significato che si determinano sul piano semantico riguardano, nella seconda
sezione, paesaggi indefiniti e onirici (Giardini
incantati) che richiamano a loro volta luoghi precisi e definiti (L’Adda, Roma, Maglie, Sant’Andrea….) per
dare corpo all’astrattezza dei pensieri (Eternità) e all’amarezza di alcune riflessioni (Profumo di fiori, Canto).
Franco Melissano sa individuare, nella
propria ispirazione poetica, nel proprio fare poesia, tutti gli elementi
specifici, i motivi che
contribuiscono a comunicare, sul piano
del contenuto, quello che ritiene
il significato più profondo del proprio messaggio e, nello stesso tempo, sa
regolare, sul piano dell’espressione, tutti gli elementi (livelli)
retorici, stilistici, linguistici e persino fonico-ritmici, attingendo a piene
mani alla propria memoria colta e
riecheggiando, volutamente, voci ‘classiche’ che appartengono anche all’immaginario culturale
del lettore. Si vedano i richiami perfino leopardiani di Alla luna (p.106) o foscoliani di Quando il grecale gonfia le tue onde (p.102), o quelli pascoliani
di Acquazzone d’agosto (p.36) o
ancora quelli crepuscolari di Lumini di
lucciole (p.103) o di E gonfia e pur
dubbiosa (p.105) e perfino quelli ungarettiani di Meriggio d’estate (p.71), di Vento
(p.101) o di Malinconia (p.80) e
di Giovinezza (p.84) e montaliani di Mentre cala la sera (p.85). L’Autore si
muove insomma con estrema sensibilità in un universo stilistico colto e
variegato che fornisce, per così dire, l’habitat
alla libera espressione delle sue emozioni e delle sue intense riflessioni.
La profonda attrattiva delle poesie di
Melissano sta proprio in questa loro preziosità, in questo essere parole singolari
che si disvelano, rivelando lontane
suggestioni depositate nel fondo dell’animo umano, ma anche del comune universo
culturale mediterraneo, luogo di provenienza e di rivendicata appartenenza
dell’Autore, luogo dove il mito si
fonde con la storia e l’angoscia si
mescola alla tracotanza ed al coraggio: si veda, a questo proposito Ulisse (p.60) che sembra condensare, in
un complesso e profondo significato simbolico e tematico, il nucleo essenziale dell’ispirazione
poetica di Franco Melissano. Un’ispirazione
che si nutre di immagini archetipiche e di riflessioni filosofiche in un
afflato poetico originale, giocato sulla struttura ritmica del verso e sulla
corrispondenza di campi semantici che estendono e accrescono il significato
delle parole.
Se cercassimo in questi versi i
rifermenti storico-letterari novecenteschi ‘di cornice’ e, per così dire, ‘di tendenza’,
dovremmo fare riferimento sia a quella linea cosiddetta sabiana (che da Umberto Saba va a Sandro Penna e Giorgio Caproni ) e
che cerca di recuperare un rapporto diretto con le cose in un linguaggio
limpido e comunicativo, sia a quella linea definita lombarda (Vittorio Sereni, Giovanni Giudici) attenta alla
riflessione morale e civile, al senso della realtà.
All’incrocio, secondo la nostra
ipotesi, tra queste due linee, Franco Melissano elabora un discorso poetico
articolato su più riferimenti, da quello
esistenziale a quello storico, a
quello antropologico, quest’ultimo
vissuto come richiamo alle origini contadine e salentine a cui Melissano sente
di dovere una parte importante della propria ispirazione poetica (si veda in
proposito Cielo del Sud p.73). Non a
caso nelle sue due raccolte precedenti Melissano ha scelto il dialetto come
lingua etica e come anima fonica dei propri versi.
Lo stesso Autore, del resto, nella sua prima
raccolta A ccore pertu, riconosce e
attribuisce al vernacolo tre pregi: l’efficacia espressiva di certi termini,
spesso intraducibili in italiano; la maggiore aderenza del dialetto “alla sfera
dell’irrazionale”, al materno, all’emotivo, all’incontrollabile; la necessità
di salvaguardare il dialetto dall’attacco multiplo della globalizzazione.
Evidente dunque un’esigenza del poeta
di misurarsi con gli aspetti per cosi dire
reali e realistici dell’esistenza,
con la concretezza del quotidiano, di fare della poesia uno strumento di conoscenza
più estrinseca che intrinseca, più incline all’immediatezza e all’incisività
del linguaggio, che sono due caratteristiche del dialetto, non a caso scelto
come lingua della prima produzione poetica.
E questa esigenza permane integra anche
nella presente raccolta in lingua italiana, dove Franco Melissano sceglie una
dimensione poetica più intima e riflessiva che si esprime in una lingua densa
ma mai ermetica, e che lo riconferma profondo conoscitore dell’animo umano (Dopo il
naufragio, p.94) e filosofo del quotidiano (Gabo è tornato a Macondo, p.82), ma anche attento cantore delle
proprie radici (Lieve e pungente,
p.104) e della coscienza storica e civile (Nemmeno
un cireneo, p.78, Purpureo fiore nel
fango, p.96).
Come già le due raccolte in dialetto,
anche questa rivela, a livello linguistico, l’attenta ricerca lessicale
dell’Autore, la sua particolare predisposizione a manipolare la lingua per
spostare, combinare e ampliare i significati della parola trasformandola in parola poetica, attraverso note figure
di significato: la metafora, spesso presente, come in Ciclista (p.98), in Non
omnis moriar? (p.75), ma anche la metonimia, come in Favelas (p.81), in
Sant’Andrea (p.57), e la similitudine come in Qual acqua salsa (p.70), e persino
l’iperbole come in Scirocco (p.57),
solo per citare alcuni esempi a titolo esplicativo. Naturalmente il poeta fa
ricorso in maniera simultanea, conseguenziale e non sempre conscia ai vari
livelli di espressione e di significato, ma l’analisi dettagliata del lettore
può disvelare almeno una parte del complesso meccanismo che anima il suo
poetare, aprendo ad un dialogo più intenso e profondo con il testo.
Melissano svolge il proprio esercizio
poetico con consapevolezza etica e teoretica, come testimoniano i versi di Non omnis moriar, dove egli si interroga sul senso dell’esistenza
attraverso il senso della poesia e cerca una risposta nella pratica stessa del
poetare e nello scorrere del tempo “che
toglie al fato il velo”. Tra tempo e poesia la vita scorre tra le dita come un “mozzicone di speranze” e al poeta rimane il compito, oneroso e
leggero, di raccontarla in un soffio, in un respiro. Tuttavia, per raccontare
la Vita non basta la Storia, con le sue cocenti delusioni e contraddizioni, ma
occorre andare su un altro terreno, quello dominato dall’Amore e dai suoi
misteriosi legami con l’Essere.
L’amore e il tempo costituiscono gli
unici strumenti a disposizione del poeta per raccontare la Vita ed è perciò che
quest’ultima raccolta di poesie, che chiude un’ideale trilogia con le due
precedenti raccolte in dialetto A ccore
pertu (2013) e Carasciule te stelle
(2014), accredita Franco Melissano come poeta autenticamente ispirato, vero viaggiatore del tempo perché aperto alla
tentazione dell’Essere oltre che della Storia.
Anna Stomeo
Anna Stomeo
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